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[Storie] L'estate dell'incoscienza (prima parte)

 
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enrico r. Rispondi citando



Registrato: 06/04/05 15:03
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MessaggioInviato: Sab Giu 02, 2007 15:15    Oggetto: [Storie] L'estate dell'incoscienza (prima parte)
 
Prima Parte

Non è una storia di masochismo, né di pazzia. E’ una storia di incoscienza. Il masochista sa perfettamente a cosa va incontro, se ci va è perché gli va bene così. Il pazzo, termine parecchio vago per la verità, nel senso comune indica una persona che non usa (più) la ragione per decidere cosa fare: avrebbe tutte le informazioni che gli servono per decidere razionalmente ma non lo fa. I quattro ragazzi della mia storia in quella estate semplicemente non avevano la più pallida idea di quello che stavano facendo.

Estate 1981. I nostri eroi - A. e E. di PD, B. e L. di TN – sono ad una svolta della loro vita alpinistica. Poco più che ventenni (il più vecchio ne ha 23, il più giovane 20), hanno già alle spalle molti anni di sfacchinate su e giù per i monti: portati fin da piccoli dai genitori, hanno già fatto tutta la trafila di escursioni, traversate di più giorni, ferrate e, da un paio d’anni, gite scialpinistiche. Devono essersi detti che era l’ora di fare sul serio.

Nel loro curriculum hanno già i libri di Bonatti cosicché l’alpinismo per loro non ha più segreti. Hanno letto anche ‘Una frontiera da immaginare’ di Andrea Gobetti che gli ha chiarito le idee sulla differenza tra alpinismo-sofferenza - quello della lotta con l’alpe per intenderci - e alpinismo-divertimento - quello dissacratore, irriverente e creativo, nonché molto molto presuntuoso, cresciuto un po’ ovunque negli anni ‘60 e ‘70. Inutile dire da che parte stanno i quattro. Non bastassero i libri che hanno letto a dargli una ingiustificata sicurezza nei loro mezzi, A. ha appena finito il corso roccia del CAI PD. Diavolo! Ormai sono a tutti gli effetti tre esperti alpinisti accompagnati da una valente guida: nessun obiettivo alpinistico gli è precluso.

Detto fatto, si organizzi il campo estivo nelle Dolomiti di Brenta! B. e L. non possono subito, così A. e E. vanno avanti. Treno da casa a TN, corriera fino a Madonna di Campiglio, passeggiata per sgranchire le gambe fino a Vallesinella e poi su fino al rif. Tuckett sotto la pioggia (e più su neve), 50 kg sulle spalle. Qualche giorno lì, poi si sposta il campo ai Brentei. Tutto in tenda, soldi per andare in rifugio neanche a parlarne.

I primi giorni servono per dare un po’ di curriculum alpinistico a E. (B. e L. per conto loro avevano già fatto qualche tentativo): si può mica cominciare subito con le cose serie, non sarebbe prudente. Così quando B. e L. arrivano ai Brentei il curriculum di E. include già (oltre ai libri di Bonatti) 1) lo scivolo N di Cima Brenta, 2) lo spigolo Fabbro alla Brenta Bassa e 3) mezza via Videsott a Cima Margherita (mezza perché sul passaggio chiave a metà parete, IV grado, la valente guida ha preferito tornare indietro). Pronti per l’impresa. Quale? Che domanda idiota: il canalone della Tosa, non ti pare? E’ lì davanti, è decisamente attraente, tutti ne parlano come della più difficile nel suo genere lì intorno, sono appena 1000 m. di dislivello, vabbè c’è un ginocchio ghiacciato in mezzo, che sarà mai.



C’è un problema: sono in quattro ma hanno solo sei attrezzi. A loro risulta che sul ghiaccio si fa piolet-traction, cioè servono 4*2=8 attrezzi, ne mancano 8-6=2. ‘Quisquilie’ sibila il più intelligente dei quattro: due vanno avanti in piolet-traction assicurati dal basso dagli altri due, quando arrivano al punto di sosta calano ai due in attesa gli attrezzi mancanti per piolet-tractionare. I tre in ascolto, folgorati da tanta inventiva, non eccepiscono. Pronti? Via!

No, aspetta un momento, c’è da decidere a che ora si parte. Su questo punto Bonatti non transige: nel cuore della notte. L’ala radicale pone però un problema etico: partire nel cuore della notte non gli pare compatibile con l’alpinismo-divertimento che avevano deciso concordemente di praticare. L’assemblea dibatte a lungo, non senza qualche frizione: si sa, sulle questioni di etica si possono rompere anche i più solidi sodalizi. Alla fine viene approvata all’unanimità una mozione degna dei democristiani dorotei dell’epoca d’oro (Piccoli, Rumor, Bisaglia, per intenderci): è vero che a prima vista partire nel cuore della notte fa tanto alpinismo-sofferenza, ma siccome dopo viene il divertimento si può fare. Tiè.

Partono assieme ad un paio di altre cordate. Troppo buio per dire se quelli fossero alpinisti-sofferenza o alpinisti-divertimento ma da come si sono mossi nel seguito si capisce che loro non avevano solo letto libri.

Vanno slegati fino a dove comincia il ghiaccio. Lì escono corde e chiodi e comincia la trafila su due uomini, giù due attrezzi, su gli altri due uomini.



Aggiungici che preparazione delle soste e manovre di corda almeno tre dei quattro nella sostanza hanno imparato a farle lì e si può immaginare la velocità dei loro progressi.



Per nulla preoccupati i quattro continuano per la loro strada: sono arrivati dove comincia l’alpinismo-divertimento, qual è il problema?

Quando arrivano alla fine della zona di ghiaccio vivo, circa 2/3 del canalone, le altre cordate sono già ai Brentei che bevono birra. E, soprattutto, dal canalone cominciano a venire giù pietre con preoccupante frequenza. Anche se non gli piace, la cosa non li sorprende vista l’ora tarda: qualcosa del genere ricordano di averla letta nei libri di Bonatti. E poi su ragazzi, cosa pretendete? E’ alpinismo questo mica petit dejeuner sur l’herbe. Rapido consulto e immediato cambio di strategia: si va slegati. C’è un problema: la seconda crepaccia incombe lì appena sopra il loro punto di sosta. E’ fonda, larga, e con il bordo del labbro superiore molto alto sopra di loro. L’unico punto debole è in corrispondenza della rigola lungo la quale, ahimé, hanno la pessima abitudine di passare anche le pietre. Molte pietre, e neanche tanto piccole, a vedere quanto è fonda la rigola. ‘Nema problema’ sussurra trionfante il più intelligente dei quattro: uno si mette di guardia alla rigola in modo da tenerne sotto controllo la parte superiore e quando non ci sono sassi in arrivo dà il via agli altri per farli passare. I tre in ascolto, folgorati da tanta arguzia, non eccepiscono. Pronti? Via! Slegati.



Gli sarà almeno venuto il dubbio che andando slegati un eventuale sasso non identificato in tempo dalla sentinella avrebbe potuto scaraventare settecento metri più in basso il malcapitato? O non ci hanno proprio pensato? Interpellati in proposito, nessuno dei quattro ricorda.

A metà pomeriggio, un po’ stanchi ma felici per aver finalmente sperimentato l’alpinismo-divertimento sbucano sulla cima.



Aperta parentesi. A dirla tutta, questo alpinismo-divertimento dava un indolenzimento muscolare molto simile a quello dell’alpinismo-sofferenza che avevano praticato da fanciulli con i genitori, ma non serve che vi spieghi quanto diverso era questo da quello. Chiusa parentesi.

Posto grandioso quella cima, bisogna riconoscerlo.



Posto perfetto per sotterrare subito sotto la neve tutti gli errori commessi nelle ore precedenti e rinforzarsi nella convinzione di essere veri alpinisti. Aggiungici che il ritorno è senza storia, giusto una doppia per insaporire: c’è tutto il tempo per fare il bilancio della giornata e pensare ai prossimi progetti. Gli altri ci hanno messo la metà del tempo? Beh, sì effettivamente, servirà senz’altro comperare i due attrezzi che mancano. Errori di valutazione? Niente di rilevante da segnalare. Palese inadeguatezza dei protagonisti? Ma no dai, anzi! Non hai visto come abbiamo saputo adattarci agli imprevisti.

E così scendendo dalla Bocca di Brenta, un’estate ancora lunga davanti, inevitabilmente l’occhio gli cade dove non dovrebbe: vedi lì davanti quella bella montagna triangolare? Lì sì che ci vanno i forti, di quella parete hanno fatto da poco la prima solitaria e la prima invernale, noi potremmo provare la parete N che da qui non si vede.

Montagna ideale per l’alpinismo-divertimento.

E dire che gli elementi per cominciare a ragionare non sarebbero mancati a volerlo fare. Per dire, l’autore della prima solitaria e coautore della prima invernale di cui sopra, era morto (21-enne) qualche anno prima in un incidente alpinistico. Morto in carne, ossa, speranze, delusioni, amori, progetti. Non un morto di carta come quelli dei loro libri che basta girare pagina e la storia finisce lì.

Niente, quella non era l'estate del ragionamento. Non c'era tempo, troppe cose da fare.

Venti giorni dopo, stessa valle ma sull’altro versante. Rieccoli al Rif. Nambron dove lasciano l’auto. Zaino in spalla, pronti? Via! E’ il 14 agosto, ore 22.00. Meno di ventiquattro ore dopo alla stazione del Soccorso Alpino di Carisolo suona il telefono. (segue qui: http://forum.thetop.it/viewtopic.php?p=24914#24914)
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