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[Storie] L'estate dell'incoscienza (seconda parte)

 
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enrico r. Rispondi citando



Registrato: 06/04/05 15:03
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Luogo di residenza: Padova

MessaggioInviato: Sab Giu 02, 2007 15:16    Oggetto: [Storie] L'estate dell'incoscienza (seconda parte)
 
Seconda parte

(prima parte qui: http://forum.thetop.it/viewtopic.php?p=24913#24913)

Qui racconto di come è successo che i nostri eroi abbiano salito la parete N della Presanella in anestesia locale. Una prima, probabilmente.

Su quella montagna c’è un cartello grande così: ‘Bambini solo accompagnati dai genitori’. Ma loro quel cartello non l’hanno visto, manco a dirlo. E se l’avessero visto non l’avrebbero capito. Erano mica bambini loro, tsk.

La Presanella è altissima sul fondovalle, non meno di 2200 metri dipende da dove la prendi. Lontana dagli accessi stradali, isolata, circondata da ghiacciai cospicui. E, per tutte queste cose messe insieme, teatro di temporali leggendari. Insomma, una montagna per alpinisti adulti.

Che per loro, cresciuti nelle Dolomiti, una montagna come quella rappresentasse il naturale passo successivo si può capire. Avessero deciso di salire ad uno dei rifugi in quota e di farsi da lì una delle vie normali alla cima, tutt’altro che banali per l’ambiente glaciale nel quale si svolgono, ci sarebbe stato niente da dire. Già sarebbe stato poco comprensibile se invece, dopo la notte in rifugio, avessero preso vie alla cima diverse dalle normali: la più facile è un III/IV di misto con accesso complicato dall’attraversamento di un ghiacciaio ben crepacciato. Niente di che per un alpinista, una bella rogna per degli esordienti.

Loro no, né l’una né l’altra. Gli serviva una via impegnativa secondo i consueti canoni alpinistici ma, soprattutto, che gli consentisse di farsi beffe del normale modo di andare in montagna. Nel libro di Gobetti ci sono un paio di esilaranti pagine dedicate a due forti alpinisti francesi degli anni ’70 alla disperata ricerca di un’impresa diversa dalla solite. Decidono di realizzare la prima con il maltempo del pilone centrale del Freney. Rischiano forte i due: rimangono giorni e giorni bloccati in parete dal bel tempo, al limite della resistenza. Beau fixe sur les Alpes. Ma finalmente, quando il peggio sembra inevitabile, ‘…videro le prime nubi oscurare le stelle … all’alba un vento gelido imperversava nuovamente sul Pilier… In uno dei più grandiosi uragani che la storia del Monte Bianco ricordi … si strinsero le mani sulla punta del Pilier di Freney…’. Ecco, pare di vedere i nostri eroi.

Pensa e ripensa, alla fine gli è parso che farsela non-stop dal fondovalle passando per la parete N fosse sufficientemente irriverente. Presa dal rif. Nambron, come hanno fatto loro, sono circa 2200 m. di dislivello (all’epoca la strada era chiusa lì, non alla malga Vallina d’Amola), gli ultimi 500 lungo una parete con pendenze fino a 60°. Aggiungici che facendola il giorno di Ferragosto c’erano buone speranze di trovare ghiaccio dall’inizio alla fine e il quadro è completo.

Li avevamo lasciati alla partenza dal rif. Nambron alle 22.00 del 14 agosto. Si fermano per una breve pausa al rif. Segantini intorno all’una di notte, e poi risalgono tutta la lunghissima val d’Amola fino alla bocca omonima a 3000 m. dove sbucano assieme al primo sole. Un luogo magico: colpo d’occhio fantastico sulla parete N subito sopra di loro, sulla vedretta Presanella e di fronte sulla catena dal Vioz al S.Matteo.




Solo che, un po’ per la mancanza di sonno da 24 ore, un po’ per i 1700 m. di dislivello già percorsi, a quel punto sono già belli che bolliti. E la parte impegnativa comincia solo lì. Tornare indietro neanche a parlarne: ti puoi figurare, star svegli una notte, sfacchinare per 1700 m. solo per arrivare alla Bocca d’Amola? Ma questo dove vive?

Per arrivare alla parete c’è da risalire un breve canale subito a ovest della cresta NE e poi da lì si traversa facilmente fin sotto la verticale della cima. Un’ora scarsa e ci sono. Questa volta con due attrezzi a testa, ché non si dica in giro che non sanno apprendere dai loro errori.



Qui comincia il bello. Ghiaccio da subito secondo previsioni. All’inizio le cose funzionano bene: sarà che la bellezza del posto, l’intensità della luce, i contrasti tra le masse ghiacciate e le rocce rosse fanno da doping, per un po’ la stanchezza non si sente.



Ma poco sopra la crisi brutta esplode. Ci sono due foto che la dicono lunga. La prima è stata scattata un paio di tiri sopra la crepaccia terminale: dalla posizione del sole si capisce che sono le prime ore del mattino. La successiva è stata scattata a due terzi di parete non più di 300 m. sopra la precedente: dalla posizione del sole si capisce che sono passate parecchie ore.



Bene, perché abbiano impiegato tutto quel tempo per salire 6-7 tiri di corda privi di particolari difficoltà, cosa sia successo esattamente, nessuno dei quattro riesce a ricordarlo. Un buco nero nella memoria. Sono saliti in anestesia locale: gli arti che funzionano ripetendo all’infinito i pochi movimenti richiesti da una salita di quel genere, che dopo un po’ vanno in automatico; la testa disattivata dal sonno e dalla fatica. C’è un vago ricordo di un traverso verso la cresta NE per evitare il tratto sommitale della parete, un po’ più ripido, fatto con l’intenzione di guadagnare tempo. Chiodi che scivolano di mano e rimbalzano fino alla vedretta … punte dei ramponi che si impigliano nelle ghette… quel incapace del mio compagno che mi dà male corda… C’è da dubitare che in quelle condizioni un’operazione così ardita gli abbia effettivamente fatto guadagnare tempo. Alla fine in cima ci arrivano, più anestetizzati che mai ma sani. E’ il tardo pomeriggio, c’è ancora il sole ma durerà poco.



A venti ore dalla partenza dall’auto e a 35 ore dall’ultimo sonno, resta ancora da scendere per la via normale al rif. Segantini 1200 m. più in basso, e da lì all’auto altri 1000 m. più in basso. Poche decine di metri fino al bivacco Orobica e poi la luce si spegne. Nel senso che da lì in giù nuvole dense tolgono del tutto la visibilità. Punti di riferimento non ce ne sono, men che meno per loro che di studiare a tavolino l’itinerario verso il rifugio non si erano proprio preoccupati. Sanno solo che a un certo punto bisogna stare a sx per valicare la bocchetta del Monte Nero e scendere in val d’Amola. Vagano un bel po’ alla ricerca del certo punto. Che li sta ancora aspettando.

All’imbrunire decidono di dividersi, A. e L. da una parte, B. e E. da un’altra. Chi dovesse andare dove e per fare cosa, è un mistero. Scendono alla cieca ancora un po’ - mezz’ore? ore? chissà - poi si arrendono all’evidenza: notte fuori. Si sistemano su belle lastre di granito liscio, sdraiati sulle corde (sfiniti sì, ma i libri di Bonatti se li ricordano benissimo) e coperti da una mantellina, probabilmente a poche centinaia di metri gli uni dagli altri.

Intanto da casa, visto il mancato rientro (avevano lasciato detto: ‘Primo pomeriggio!’) e l’assenza di notizie, parte la telefonata al Soccorso Alpino. Il soccorritore informa cortesemente i familiari: ‘A quest’ora e con il temporale violento in corso in quota? Marameo! Domani mattina andiamo a cercarli’. Già, sono lì sdraiati comodi sul loro lettino bonattiano quando le nuvole dense di cui sopra decidono che è arrivato il momento di concretizzare. La quantità di acqua e di fulmini caduta quella notte se la ricordano ancora bene. Se non altro, li aiuta a smaltire i fumi dell’anestesia.

Ai primi chiari di una splendida alba alpina le due coppie scoprono di essere in val Nardis – cosa piuttosto ovvia, per la verità, se solo si fossero studiati la carta - a poche decine di metri dal filo della morena dove passa la normale da S. Percorrendo la quale arrivano in breve al bivacco Vittorio Roberti conte di Castelvero. Bisogna dire, a loro merito, che il dubbio di non essere particolarmente furbi gli è venuto subito.

Il resto è presto detto. La prima coppia arriva alle cascate del Nardis in tempo per fermare la squadra del soccorso alpino. Gli altri due seguono. Poi c’è solo da recuperare l’auto nell’altra valle e ritornare a casa.

Qui finisce la loro estate dell’incoscienza. Confusa, velleitaria, creativa, intensa e pericolosa. Come succede di solito nel passaggio da ciò che non si è più a ciò che non si è ancora. Hanno imparato? Direi proprio di sì. Alcune domande fondamentali hanno cominciato a farsele prima di partire per la montagna. Non dopo. Di sicuro non tutte le risposte gli sono venute giuste – altre notti fuori, altri Soccorsi Alpini in allarme - ma insomma ragazzi, è alpinismo questo mica petit dejeuner sur l’herbe.

Ah, quasi dimenticavo: sono ancora vivi e stanno bene. Viste le premesse, non è risultato da poco.
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enrico r.


L'ultima modifica di enrico r. il Gio Mag 21, 2020 15:32, modificato 1 volta
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casmau Rispondi citando



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MessaggioInviato: Lun Giu 11, 2007 17:19    Oggetto:
 
Bravo Enrico, e felice di sapervi ancora in azione.
Ciao
Maurizio
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enrico r. Rispondi citando



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MessaggioInviato: Dom Ago 31, 2014 10:13    Oggetto:
 
A 33 anni dai fatti siamo tornati sui luoghi dell'estate dell'incoscienza. Siamo io e Leonardo, in occasione del 150° della prima salita alla Presanella. In giro c'è pure Mick Fowler che noi appena intravvediamo alle 5.30 del mattino. Lui va sulla cresta NE, noi ci accontentiamo della normale dal Rif. Segantini.

Cambiato tutto, cambiato niente. Del ritiro dei ghiacciai si sa già tutto, ma toccarlo con mano fa impressione. Eppure, l'ambiente è ancora quello. Basta allontanarsi appena dal rif. e si ritrova la stessa sensazione di isolamento di 33 anni fa. Nonostante i nostri 33 anni in più che pure un po' di disincanto dovrebbero aver portato. Niente, funziona ancora: magie di Maga Presanella.

E poi la neve caduta abbondante nella notte, la fatica di tracciare dai 2700 in su.... Impagabile.

Con l'occasione si indaga anche su come diavolo abbiamo fatto a perderci quella volta. La spiegazione auto-assolutoria che ci eravamo dati all'epoca era stata l'assenza di visibilità. Regge? Macché. Al biv. Orobica eravamo arrivati con il sole e da lì siamo calati sulle roccette a dx (scendendo) direttamente sulla Vedr. di Nardis dove ci siamo infilati nelle nubi fitte.

Il percorso giusto dal biv. era ed è tutto a sx appena sotto il filo di cresta, risalendo alla Presanella Bassa e da lì giù sulla Vedrettina Orientale di Nardis e alla B.ta del Montenero. Tra il percorso giusto e il nostro percorso sbagliato c'è in mezzo la cresta a Y detta di Payer, mica bruscolini...

Ecco, il quadro adesso è completo. Non avevamo la più pallida idea di come si ritornasse al rif. Segantini da quel versante. Rolling Eyes

Leonardo, segnatelo in agenda: c'è da fare un sopralluogo fra 33 anni.
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enrico r.
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giovannibusato Rispondi citando



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MessaggioInviato: Lun Set 01, 2014 17:29    Oggetto:
 
non so perchè,
ma la storia mi è familiare (!)
cartine non lette,
valli sbagliate..
_________________
giovanni
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renrav Rispondi citando



Registrato: 23/01/09 23:28
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Luogo di residenza: TN

MessaggioInviato: Lun Set 08, 2014 19:57    Oggetto:
 
giovannibusato ha scritto:
non so perchè,
ma la storia mi è familiare (!)
cartine non lette,
valli sbagliate..

Capita...

altrimenti il Gino ha fatto la busa per niente
_________________
non esiste notte tanto lunga che impedisca al sole di sorgere
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Gino Rispondi citando



Registrato: 20/02/07 00:29
Messaggi: 1823
Luogo di residenza: Gino

MessaggioInviato: Mar Set 16, 2014 7:20    Oggetto:
 
La "busa" divora cartine tutti i giorni, figurarsi far sparire delle creste, anticime o scendere canali sbagliati... gioco da ragazzi! Laughing Laughing

L'ho sempre detto io.... un piede in "busa" ce l'abbiamo tutti! Mr. Green Mr. Green Mr. Green Twisted Evil


PS: Bello leggere queste storie... vere!
_________________
Và in Mona!!!!
Very Happy
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