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Un bel racconto

 
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casmau Rispondi citando



Registrato: 04/10/06 18:00
Messaggi: 8395
Luogo di residenza: Roma, Appennino

MessaggioInviato: Mer Dic 12, 2007 14:09    Oggetto: Un bel racconto
 
Quel treno…


Ultimo della classe, pigro svogliato, si staccava dalla piattaforma della Stazione di Piazza Garibaldi, tra la disattenzione generale, alle zero quaranta.

Non lo degnavano di un’occhiata nemmeno i facchini che, malgrado i viaggiatori fossero curvi sotto il peso delle cassette per militari in licenza, valige di cartone legate con lo spago, spropositati fagotti approssimativi, non avevano per quel treno mai nulla da trasportare.

Treno autarchico, almeno dal punto di vista del facchinaggio. Ed a questa autarchia obbedivano soprattutto alcuni esseri strani e misteriosi che una sera, mai visti prima, come sbarcati da un ignoto paese, apparvero portandosi a spalla due lunghe assi cornute, impattate a due mazze di nocciolo con alla punta un chiodo e due rotelle di bambù.

Pantaloni alla zuava, scarponi di montagna, sacco alpino, occhialini scuri appesi al collo o sistemati a nastro sul cappello, andatura di allegrìa (si vedrà fra poco), carburata da un solido appetito.

Viaggiavano in terza classe e piuttosto che mettersi a dormire intonavano cori della naja. Un cantare dolce, caldo, melodico. Attenuato e in sordina diventava quasi un mugolìo di tribù pagana riunita a propiziare gli spiriti della propria divinità: la neve.

Una divinità surgelata rispetto al sole di Napoli ma bella, soave, immacolata e castissima, salus infirmorum, lontana e raggiungibile in otto ore. Otto interminabili ore notturne di un viaggio ch’era una veglia d’amore.

Non possono intenderla certo i viaggiatori del jet che in molto meno trasvolano continenti. Eppure fra quel treno e gli aerei d’oggi non sarebbe cattivo gusto elencare qualche differenza.

Quel treno partiva senza rumore e si fermava a tutte le stazioni. Non così fanno gli aerei che non si fermano mai. Qui si dorme, lì non si dormiva. Negli aerei nessuno oserebbe, anche se folle, mettersi a cantare. In quel treno il canto era un mito, una necessità primordiale, un bisogno religioso.

Sugli aerei si consumano pasti, serviti ad aria pressurizzata, leggeri più del vasellame che li contiene, commestibili in pochi minuti, sterilizzati, asettici, lucidi di cellophane, inodori, spesso insapori, ma sempre bilanciati come i mangimi del veterinario.

Per quel treno (che dopo molte piccole fermate si concedeva uno scalo di due ore, nel pieno della notte, a Caianello-Scalo) era possibile accomodarsi nella cucina del gestore del bar della stazione e sentirsi cavalieri erranti accolti da un ospitale signore del medioevo.

C’era un camino che vampava come un altoforno. A quel fuoco si arrostivano metri di salsiccia paesana. Strizzati nelle pagnotte, prima di essere addentati, gemevano oro suino a 24 carati. Si delibavano melanzane sotto aceto, si vuotavano fiaschi a volontà ed alla fine per stabilire un ordine in tante fonti di energia si ordinavano mozzarelline allo spiedo che nel rosolarsi ingentilivano l’atmosfera già satura di odori patriarcali piuttosto robusti.

L’accelerato, con le vetture ormai refrigerate dalla sosta all’addiaccio, si rimetteva in marcia alle quattro e dodici.

Tùnf, tùnf, Tòro-Presenzanòòò… Buio pesto. Non si vedeva né Tora, né il mobilissimo feudo di Presenzano.

Sesto Campanòòò… ciùf, ciùf, ciùfff… Venafròòò… fffff, tozza, tarchiata, la vaporiera grassottella, annusava la notte con sospiri di faville, con boccate di fumo che assomigliavano un poco a quelle del Vesuvio (allora ancora in attività di servizio).

Ripartiva per fermarsi. Ad ogni stazione gli stessi sbuffi, le stesse nubi basse di vapore nelle quali andava a perdersi la lanterna cieca, agitata dall’uomo nero, capotreno, capostazione, controllore, guardia-freni, l’uomo tutto, l’uomo-corno-di-ottone che ad ogni partenza soffiava ostinato la carica come il trombettiere di uno squadrone di cavalleria decimato fino all’unità: una cavalla solo, la locomotiva.

Roccaravindolààà, Macchia d’Iserniààà, Sant’Agapito-Longanòòò. E così sempre avanti nella notte sempre più fredda e più nera. Un favoloso itinerario, una litania di stazioni con due, tre nomi, anzi un nome, il cognome, la paternità. Carpinonèèè, Sessàno-Civitanova, Pescolanciano-Chiàuci, Carovilli-Roccasicura, San Pietro Avellana-Capracottààà.

All’appello non mancava nessuno. Sembrava senza mai fine quella lista di reclute d’una invisibile Armata del Sogno.

La vaporiera intanto, alla stazione di Castel di Sangro, si preparava all’ultimo balzo. Prendeva fiato come un atleta ormai molto avanti negli anni che sa per esperienza il fatto suo. Si faceva controllare da un esperto l’arma segreta dello spazzaneve che nella bocca le traballava come una dentiera.

Montenéro-Valcocchiara, Alfedéna-Scontrone: il primo brivido. Era già l’ora della “madrugada”, era cioè quel momento cosmico nel quale il giorno ancora non è nato e la notte si attarda a morire. Gl’italiani che sanno tradurre in proprio tante cose questa parola ancora non l’hanno assimilata. Bene, alla “madrugada” si scopriva il primo biancore della terra. Era la luce irreale, un manto che tuttavia esisteva e più che vedersi s’intuiva.

A Sant’Ilario Sangro, il miracolo del primo raggio di sole, il primo raggio di sole che insieme al treno del mattino saliva a dare il buongiorno alla Rocca sul Ràsine.

Altéra, superba, questa rocca? No tutt’altro. Era un pugno di case raggrumate come un gregge freddoloso intorno al campanile della chiesa madre. Un timido umile gregge vegliato dalla pace e dal silenzio. La cappella si San Bernardino a mezza strada tra la rocca e il santuario di Portella era chiusa dalla neve.

A Portella, in solitudine, viveva un eremita e nella più nuda semplicità cantava eterne lodi ascoltato soltanto dal Signore. Aveva una minuscola campana che nessuno suonava mai. Bastava già il suono di quelle della chiesa madre dove Sant’Ippolito il guerriero ostentava elmo e corazza o quelle di San Rocco che offriva ad esempio di patire le proprie morsicature a sangue raggrumato. Nella voce umana, familiare, intima, universale, sommessa, discreta, malinconica e dolce delle uniche campane di Roccaraso, ad ora fissa, si trasmetteva la voce e la presenza di Dio.

Qui, alla Rocca sul Ràsine, l’accelerato delle zero quaranta da Napoli, depositava alle 8 gli “skiatori” (si, proprio col “k”) che quando erano numerosi non superavano mai la ventina.

Si avviavano subito al Vallone di San Rocco disseminando nell’aria che odorava d’incenso, odori di catrame e paraffina. Sfoderati due magici nastri di pelle di foca li incollavano agli ski avventurandosi alla Selletta, all’Aremogna, al Rifugio, alle Toppe del Tesoro, al Fratello, al Monte Greco. Erano a volte capaci di una traversata difficile quanto quella di Nansen in Groenlandia: la Roccaraso-Scanno.

Erano pochi ed il silenzio li ingoiava come pesciolini buttati nell’oceano. Nella distanza sembravano formiche, puntini, granelli semoventi. Skiavano tutto il giorno col sacco sulle spalle dove portavano viveri, indumenti ed accessori preziosi, come ad esempio, una spatola in alluminio a forma di lancia. Era nientemeno che la punta di ricambio di uno ski. La possibilità di rottura era frequente. Quell’arnese stava agli ski come la ruota di scorta alle bucature di un’automobile.

Tornavano alla base entro le cinque della sera. L’accelerato del mattino era ad attenderli per riportarli a casa. Nel viaggio di ritorno dormivano tutti. Un sonno solo, da Roccaraso a Napoli, Piazza Garibaldi. Ed anche molti sogni!

Adesso a Roccaraso si arriva in due ore di automobile. Quel grumo di case addossate l’una all’altra, pecorelle di un gregge infreddolito, è un’esplosione di superbia e di spavalderia, una frenetica gara di condominii e grattacieli, pentacamere e triservizi. Al calore dei grandi alberghi fa eco la luce delle insegne fluorescenti che gridano alle falangi di sciatori: boutique,snack, night, coiffeur, bar, winter-sport.

Parole familiari al linguaggio dell’Italia del benessere in piedi su quella del malessere, l’Italia dei drinks, degli ski-lift, degli ski-pass.

Nel vallone di San Rocco c’è la SITAR con i cavi e i seggiolini del Belisario e di Roccata. Pelli di foca addio! All’Aremogna si arriva in automobile e la strada è sempre sgombra, il rifugio è in compagnia di alberghi, pensioni, ville sotto l’arcobaleno permanente delle funi di tre impianti che permettono di fare in un giorno più discese di quante una volta non si potessero fare in tutta la stagione.

Al Fratello, alle Toppe del Tesoro, ci si dà appuntamento come in città ad un caffè del centro.

Alla Portella, l’Eremita viaggia in utilitaria, fuma Marlboro, si nutre di Tvù. Per quanti si recano in chiesa l’incenso è chimico e le campane hanno la voce dell’Enel. Suonano elettricamente come le chitarre-beat. Il Curato indossa il clergy. Sulla neve di quella che fu la bianca, immacolata Rocca sul Ràsine, si posa un grasso velo di smog.

Alle cinque della sera la stazione ferroviaria è deserta e l’ultimo guardiano recita un requiem per un fantasma. Non parte e non arriva nessuno. Sui binari silenziosi scende con la sera un’ombra che assume le sembianze di un treno. E’ quello degli sciatori e chiede di essere ricordato ora che l’orgia del vivere si pasce di altri miti.




Emilio Buccafusca




Il racconto è apparso su

DOVE LO SCI

di Rolly Marchi - Milano
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LucaGPS Rispondi citando



Registrato: 18/12/06 01:01
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Luogo di residenza: Arco

MessaggioInviato: Mer Dic 12, 2007 22:52    Oggetto:
 
Racconto di un Scialpinismo d'altri tempi.
Cool Cool Cool Cool Cool
Certo che se si dovesse tornare indietro Rolling Eyes Rolling Eyes Rolling Eyes
Son bastati due giorni di sciopero, e si è visto come ci sente perduti senza l'auto.
Oggi non si parlava d'altro.
Tutti erano alla ricerca disperata di fare il Pieno.
Se un giorno la benzina finisse per davvero, chissà che roba. Shocked Shocked Shocked Shocked
Si tornerebbe a vivere un po' più lentamente Idea Idea Idea
_________________
C’era un tizio racconta l’autista, che saliva con lo zaino, sci e scarponi, sorriso dolce sul viso bianco di crema solare..non l’ho più visto, forse si è stancato ed è andato altrove. Stancato? Guardo verso le montagne che scintillano più del solito.
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fabbrissimo Rispondi citando



Registrato: 16/04/05 14:55
Messaggi: 1418
Luogo di residenza: bolzano

MessaggioInviato: Gio Dic 13, 2007 20:09    Oggetto:
 
LucaGPS ha scritto:
Se un giorno la benzina finisse per davvero, chissà che roba. Shocked Shocked Shocked Shocked
Si tornerebbe a vivere un po' più lentamente Idea Idea Idea


oppure pensare di poterci muovere con l'auto a idrogeno

nn è sempre detto che da un tubo di scappamento debba solo e sempre uscire maledetta polvere nera puzzolente e altro nefidume

spero arrivi presto il giorno in cui esca vapor d'acqua

e ve lo immaginate il silenzio di un auto cosi !?!?!?

anche produrre idrogeno inquina, ma nn è il disastro che ci stiamo respirando da decenni.,,,,,,, Crying or Very sad Crying or Very sad Twisted Evil Twisted Evil

-,,,
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casmau Rispondi citando



Registrato: 04/10/06 18:00
Messaggi: 8395
Luogo di residenza: Roma, Appennino

MessaggioInviato: Gio Dic 13, 2007 23:12    Oggetto:
 
è un racconto che mi ha ricordato che troppo spesso ci si dimentica dell'esistenza di infrastutture incredibili, in questo caso di una ferrovia che corre lungo un percorso di montagne impervie, e che la sua realizzazione è costata oltre che soldi la vita di molti operai. Oggi non sono più usate, perchè ognuno (compreso io) ha la sua macchina e non riesce più a concepire i suoi viaggi senza di essa. Eppure quelle poche volte che ho usato questo treno ho vissuto grandi avventure.

questa è una di quelle grandi avventure

http://video.google.it/videoplay?docid=3627133422332764114&hl=it
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gianko Rispondi citando



Registrato: 11/04/06 18:56
Messaggi: 4154
Luogo di residenza: Quebec City

MessaggioInviato: Ven Dic 14, 2007 17:29    Oggetto:
 
Bello sto racconto,se non sbaglio si intitola :il treno delle 0.40. Che tempi ragazzi e che mazzo che si facevano Shocked se non era passione quella....Grazie mauris!
_________________
Gianko

____________________________

il tempo che passa "piega" solo i pigri....
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