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[Storie] I N C O N T R I
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casmau Rispondi citando



Registrato: 04/10/06 18:00
Messaggi: 8395
Luogo di residenza: Roma, Appennino

MessaggioInviato: Mar Ago 11, 2009 15:30    Oggetto:
 
ste ha scritto:
beh, questo incontro sembra uscito dai racconti di Giovannino Arrow

http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=69091&sez=NORDEST Very Happy


se il bagnante era un sub e lo scambiava per una cernia, sai le risate!! Laughing
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http://scianarchik.blogspot.com/

http://vimeo.com/87710861

Di colpo tutta la mia facoltà di pensare si spegne.
Che sensazione piacevole! Ho forse dormito?
No sto facendo una gita con gli sci
H. Buhl
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ste Rispondi citando



Registrato: 07/04/05 16:05
Messaggi: 6285
Luogo di residenza: Portus Naonis

MessaggioInviato: Mar Set 08, 2009 12:10    Oggetto:
 
9) Stelle e polvere, polvere di stelle, stalle

Senia non esiste, eppure l’ho incontrata.
Era bella, generosa e vivace. Era giovane quando anche io lo ero.
E’ rimasta bella come allora, il suo corpo non è invecchiato, anche se non è più.
Il mio, invece, ha accumulato ferite e sconfitte, e mi ospita ancora.
Anche le coetanee di Senia hanno perso innocenza, freschezza e splendore, e guadagnato in età.
E’ uno scambio vantaggioso, pare.
Ogni giorno si perde qualcosa, e si diventa altro.
A volte si migliora, altre si peggiora.
E alla fine si è quello che si è, senza possibilità di ritornare a ieri.
Neppure Senia, e quelli come lei, possono ritornare indietro, perché sono rimasti là.
Nei giorni pieni di progetti e di speranze e di turbamenti della gioventù.
Belli e dannati, nel giardino ristretto e splendido dei nostri ricordi.
Per sempre – mi verrebbe da dire, ma nulla dura per sempre, purtroppo – o fortunatamente.
Senia è una delle stelle più luminose nel cielo dei miei ricordi, brilla più delle altre, perché spegnendosi nel momento del suo massimo splendore è rimasta tale.
Una bellissima stella.
Le altre, un tempo anche più belle di lei, affievolendosi poco a poco sono diventate dei lumicini, o dei pianeti, o delle lapidi.
Si sopravvive, riflettendo meno luce di una stella spenta, talvolta.
Ma finché si vive si tiene acceso il fuoco dei ricordi, la luce di Senia e di quelli come lei, che non hanno potuto.
E si può cercare tra le macerie la nostra identità, i progetti dimenticati o trascurati, la vita che avremmo voluto.
Spogliarsi di tutto fino a ritrovare se stessi.
Condensando realtà e ricordi, stelle e polvere.
Senia non esiste, ma io continuo ad incontrarla.
Bella come mai.


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FrancoF Rispondi citando



Registrato: 10/02/08 13:12
Messaggi: 589
Luogo di residenza: Marano (VI)

MessaggioInviato: Gio Set 10, 2009 10:43    Oggetto:
 
ste ha scritto:
9) Stelle e polvere, polvere di stelle, stalle



bello Ste,

vibrante, malinconico ed elegante.

un racconto emozionante, che sa un po' di Ottocento.

in questo spazio, nel mondo virtuale, Senia vive.
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Franco
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ste Rispondi citando



Registrato: 07/04/05 16:05
Messaggi: 6285
Luogo di residenza: Portus Naonis

MessaggioInviato: Mer Ott 14, 2009 16:39    Oggetto: il libro
 
10) IL LIBRO

Un altro racconto, per i pochi – spero – che impiegano il loro prezioso tempo a leggere le mie stramapalate storie.

Questo è un incontro con un libro.
Mi aspettava in una strada del centro, in una bancarella di cose vecchie.
Ha richiamato la mia attenzione con la copertina, che riproduceva una fotografia identica a quella che avevo fatto a mio nonno, poco prima che morisse.
Forse ero stato cinico, ma un giorno mi resi conto che non lo avevo mai fotografato, e pensai che se volevo farlo dovevo sbrigarmi, così gli proposi di uscire a fare una passeggiata e gli feci alcuni scatti. Tre per l’esattezza, e dal buio della camera oscura emersero come li avevo immaginati. Poi, quando dopo pochi mesi lui morì, mi sentii un po’ in colpa, quasi che i miei presentimenti ne avessero propiziato la fine.
Qualche anno più tardi la cosa si ripetè con mio padre: non era malato, però cominciai a sentire che se volevo chiarire alcune incomprensioni che in passato ci avevano allontanato dovevo affrettarmi. Ma ogni volta che andavo a trovarlo non avevo il coraggio di affrontare i nostri nodi, e così un infarto improvviso li lasciò definitivamente irrisolti.
Ma questo episodio non ha niente a che fare con il libro oggetto di questo incontro.
Era la fotografia di mio nonno in copertina, non quella di mio padre.
Ritraeva un viale avvolto nella nebbia, e la sagoma scura di un uomo con cappotto e cappello che si allontana verso un nulla opaco e lattiginoso. L’unica differenza è che l’uomo del libro sorregge una borsa, - un medico? Un avvocato? Un impiegato? – mentre mio nonno si sorreggeva sul suo bastone da passeggio.
Ho raccolto il libro e l’ho sfogliato, aspettandomi una rivelazione – che non ho trovato.
L’ho comprato ugualmente, anche se è scritto in russo, o forse in polacco.
Le prime dieci pagine credo parlino di Jan Mràzkovà, il soggetto della biografia. A pagina 11 c’è una foto di classe, datata 1914, con una decina di allievi in giacca e cravatta, tutti serissimi e cupi, quasi sentissero l’imminenza della guerra. La didascalia forse indica Jan adolescente, o forse parla della scuola che frequentava, ma quello che mi colpisce è un ragazzino sullo sfondo, quasi coperto dai compagni, che assomiglia a me adolescente.
E’ il più piccolo del gruppo, eppure sta in fondo, come se cercasse di nascondersi.
Anch’io facevo lo stesso nelle fotografie, e continuo a farlo.
Seguono dodici pagine fitte di parole, per me incomprensibili. A pagina 24 c’è un ritratto di Jan datata 1920, e lo mostra con il viso pallido e curato, occhiali tondi e cappello elegante. Non guarda in macchina, ma di lato, come se osservasse qualcosa di importante.
Sembra concentrato, pensieroso, preoccupato – nonostante sia in uno studio fotografico.
Dopo 5 pagine un’altra fotografia solenne, anno 1922: indossa un abito nero e una camicia chiara molto elegante, accanto a una donna in abito nuziale, fiori bianchi ovunque. Anche in questa immagine non guardano in macchina, ma alla destra del fotografo, mentre in quella precedente alla sua sinistra. A quell’epoca non si facevano tante fotografie come oggi, e forse voleva evitare di averne due uguali. Ma non era necessario che guardasse dalla parte opposta, in quei due anni solo gli occhialini tondi erano rimasti gli stessi. L’espressione del viso non ispira più tenerezza: è severa e cupa. Neppure la donna sorride, è accigliata quanto lui. Pare la foto segnaletica di due ricercati, consapevoli di non avere né speranze né futuro. Forse, a differenza di tutte le altre coppie, intuivano che il matrimonio non è solo rose e fiori. E si preparavano al peggio.
Colpisce, oltre che la gravità dei loro sguardi, la diversità del loro aspetto: elegante, raffinato e colto lui, dimesso, goffo e un po’ rozzo lei, che sembra uscita da un quadro di Brueghel. Con la corporatura lei occupa gran parte della fotografia, con uno schiaffo potrebbe rovinarlo, e questo spiegherebbe i lineamenti contratti di Jan, la durezza del suo sguardo, la preoccupazione di non contrariarla. Ad un esame più approfondito si può cogliere infatti un leggero sorriso ben dissimulato nel viso della donna.
Fossi stato io il fotografo, nonostante la scarsa simpatia che ispira Jan, avrei allontanato lei con una scusa e lo avrei fatto scappare dalla porta di servizio: « corri Jan, corri, mettiti in salvo », gli avrei gridato.
Ma dalla fotografia successiva, sei pagine più avanti, si capisce che non andò così.
In quelle sei pagine sono trascorsi solo due anni, ma Jan ne dimostra dieci in più.
Il viso è ancora più pallido e scavato, le lenti più spesse, gli occhi contornati da grosse occhiaie. Lo sguardo è ancora cupo, ma rassegnato. Ha perso quasi tutti i capelli.
Siede sul bordo di una panchina, in un parco. Accanto a lui, ed occupa il resto della panca, inarcata sotto il suo peso, c’è la donna della foto precedente, sotto le cui ampie gonne potrebbe nascondersi una tribù di pigmei. Sorride compiaciuta.
L’ultima fotografia ritrae un cimitero, in primo piano una tomba, a terra le foglie secche dei platani. La didascalia è articolata in tre righe, ma l’unica parola comprensibile è Jan.
Nella pagina successiva inizia la seconda parte del libro, quella delle sue opere credo, perché seguono centoventi quadri con numero progressivo e data.
Nessun commento o spiegazione, nemmeno un rigo.
I primi undici, dipinti tra il 1911 e il 1921, sono degli autentici capolavori, e ricordano quelli del gruppo del Blaue Reiter di Kandinskij, ma con caratteri di originalità.
I successivi nove (1921-22) sono delle interpretazioni della Passeggiata di Chagall, con una significativa differenza: è l’uomo sospeso per aria, e la donna che lo trattiene per la mano.
La rinuncia a uno stile personale viene purtroppo confermata dai quadri composti tra il 1922 e il 1925: sono cento variazioni de il grido di Munch, con un progressivo incupimento e ingrandimento del viso, che arriva ad occupare l’intera immagine. Nelle ultime opere il dilatamento del volto è tale che il quadro raffigura solo la bocca spalancata, poi il giallo si oscura fino a diventare nero, e un’uniforme superficie nera è l’ultima sua opera.
Nell’abisso scuro e senza fondo che si apre in quell’urlo, in quel buco nero che cancella ogni cosa, stavo scivolando anch’io e molti altri, e solo fortunosamente sono riuscito ad aggrapparmi ai bordi, e issarmi fuori a fatica, rimandando almeno per un po’ la caduta, inevitabile per chi si sporge troppo a guardare nelle profondità.
Non ora, tempo fa.
Ora il mio sguardo è rivolto verso il cielo, verso il sole, verso la luce.
Vivo con la semplicità di una lucertola che cerca il tepore del sole, nulla di più.
Vivo camminando sul filo sottile che separa il cielo dagli abissi senza fondo né luce.
Lo stesso esilissimo filo che separa la gioia dal dolore, e ogni altra cosa nella vita.
Tutto è mutevole e rapido, niente dura per sempre.
Eppure, in quel piccolissimo frammento di tempo chiamato vita, possiamo farci entrare l’intero universo. E disegnare il mondo che verrà. I nostri sogni. E altro ancora.


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ste Rispondi citando



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MessaggioInviato: Dom Nov 21, 2010 12:20    Oggetto:
 
11 - INCONTRI, SCONTRI, e il cerchio del tempo


Il caso, il destino, le infinite circostanze fanno incontrare le persone.
Le fanno nascere e morire, amare e odiare.
Ogni incidente, ogni accadimento, unisce esistenze parallele che fino a quel momento si erano solo sfiorate, o neppure quello. Ogni fatto ne determina altri, provoca incontri, sviluppi futuri.
Fin troppo ovvio e banale. Ma anche le cose ovvie e banali determinano cambiamenti profondi, eventi intensi e drammatici, lieti e dolorosi.
Contemporaneamente.
Niente è come appare, niente rimane uguale: l’amore si trasforma in odio, la passione in morte, la morte in vita - di altri.

Laura l’ho conosciuta perché nella penombra di un androne l’avevo scambiata per Anna, e da quell’equivoco è nata una storia importante, ma anche la fine di un’altra, e da lì problemi di droga culminati in un incidente stradale. Delle tre persone coinvolte una è morta, le altre due sono finite in ospedale con varie fratture. Stavano partendo per il viaggio di nozze, alle Maldive. L’aereo che hanno perso è precipitato nell’Oceano Indiano, 123 morti, ma non loro, che poi hanno avuto tre figli.
Paola, la più grande, a vent’anni si sottopose a un’ecografia da cui non risultò alcun battito, ma il giorno che si ricoverò per il raschiamento ci fu uno sciopero degli anestesisti. Una paziente morì per il rinvio dell’intervento, ma quando Paola tornò una settimana dopo fu sottoposta a una ulteriore ecografia, con un macchinario molto più sensibile appena arrivato in ospedale, che rivelò un debole battito, e così niente raschiamento e Luca venne al mondo.
Luca poi sposò Luisa, che aveva conosciuto a casa dell’insegnante da cui andava a lezione di pianoforte. Luisa ne era la nipote, e viveva lì dalla nascita, avendo perso entrambi i genitori. A dire il vero il padre più che perso non c’era mai stato, e la madre era morta per una complicazione pochi giorni dopo il parto.
Questa triste circostanza riemerse durante una cena, a casa dei genitori di Luca, quando il telegiornale annunciò uno sciopero dei medici.
«I medici non dovrebbero mai scioperare, » esclamò Luisa con rabbia.
«Anche loro hanno diritto di farlo, le urgenze sono comunque garantite, » rispose pacatamente Luca.
«Mia madre dovette sottoporsi a un intervento dopo il parto, - raccontò Luisa - ma il giorno in cui era stato programmato ci fu lo scipero degli anestesisti, e l’operazione rinviata. Due giorni dopo si aggravò e morì ».
Paola, che stava servendo a tavola, lasciò cadere la zuppiera che teneva in mano.
Il tonfo e la minestra rovesciata sul pavimento spostarono l’attenzione dal dolore di Luisa al turbamento di Paola, che rimase immobile e silenziosa.
Per un tempo che parve lunghissimo nessuno si mosse, né disse alcunché.
Se non fosse per il liquido che si espandeva sulle piastrelle del soggiorno, sembrava che il tempo si fosse fermato, come in una fotografia.
Invece era tornato indietro il tempo, per Paola, al giorno in cui per la prima volta lei vide Luisa, nella stanza dell’ospedale che condivise con sua madre, il giorno in cui c’era stato il rinvio degli interventi per lo sciopero degli anestesisti. Luisa era appena venuta al mondo, e di lì a poco, grazie a quel contrattempo, anche Luca sarebbe nato, e in seguito avrebbe sposato Luisa, proprio lei, tra tutte le donne del mondo.
Tra le altre cose dal loro matrimonio naqui io, che un giorno, nella penombra di un androne, scambiai Laura per Anna, e da quell’equivoco iniziò una storia importante, ma anche la fine di un’altra, perché per ogni cosa che inizia ce n’è un’altra che finisce, e per ogni cosa che finisce ce n’è un’altra che inizia, per fortuna, o per sfortuna, a seconda dei casi, non si può sapere, nè mai dire, perché le conseguenze sono imprevedibili, e infinite, e inutile cercare di capire.


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MessaggioInviato: Mer Dic 08, 2010 12:30    Oggetto:
 
12 - L'INDIFFERENZA

Il Ruanda era abitato da gente diversa che conviveva pacificamente, pur con le diseguaglianze che caratterizzano il mondo.
Poi arrivarono i colonizzatori europei, prima i tedeschi e poi i belgi, che introdussero le carte di identità e iniziarono a classificare rigidamente i ruandesi in funzione del loro status sociale e delle loro caratteristiche somatiche, distinguendoli in Hutu e Tutsi e dando il via alla divisione etnica. I Tutsi, che rappresentavano l'aristocrazia della società, furono favoriti a danno degli Hutu, che costituivano l'85% della popolazione ed erano dediti prevalentemente all'agricoltura.
Tedeschi e belgi, forti delle teorie fisiognomiche di retaggio ottocentesco, per lo sfruttamento coloniale si appoggiarono all'etnia Tutsi, instaurando un regime monarchico di tipo feudale, e sottomettendo gli Hutu . I Tutsi, seppure minoritari, vennero integrati nell'amministrazione coloniale come uomini di fiducia dei colonizzatori.
Negli anni 50 gli Hutu si ribellarono ai Tutsi, e iniziò una nuova rivoluzione sociale basata, questa volta, sulla superiorita' razziale degli Hutu. La rivoluzione ebbe successo e porto' il Ruanda a dichiarare l'indipendenza nel 1962 mettendo fine a decenni di colonialismo: viene cosi' abolita la monarchia e proclamata la repubblica con Gregoire Kayibanda, che instaura un regime razzista contro i Tutsi. Iniziano cosi' le persecuzioni razziste e le vendette contro i Tutsi, che determinarono decine di migliaia di morti e l'esodo di centinaia di migliaia di Tutsi verso i paesi confinanti. Seguirono anni di guerriglia con massacri da ambo le parti.
Il 6 aprile 1994, l'aereo presidenziale venne abbattuto da un missile, non si sa da chi lanciato.
Il 7 aprile con il pretesto di una vendetta iniziano i massacri della popolazione Tutsi e di quella parte Hutu imparentata con questi o schierata su posizioni più moderate. Per 100 giorni si susseguirono massacri e barbarie di ogni tipo; vennero massacrate più di 1.000.000 di persone, bambini compresi, in maniera pianificata e capillare, a colpi di machete e bastoni chiodati.



Nel luglio 1994 il Fronte Patriottico Ruandese, composto in prevalenza da esiliati Tutsi, sconfisse le forze governative ed attuò una risposta al genocidio che comportò la fuga di circa un milione di profughi Hutu verso i paesi confinanti.
E l’Occidente che fece?
L’indifferente.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a causa del veto USA, non riconobbe il genocidio in Ruanda.
Alcuni paesi occidentali mandarono dei contingenti, ma solo per salvare i propri cittadini.
La Francia, che aveva addestrato e spinto alla rivolta le milizie Hutu, continuò addirittura a fiancheggiarle.
Gran parte dei mandanti e dei perpetratori della carneficina trovarono rifugio nei paesi confinanti, e ancor’oggi molti vivono tranquillamente nei paesi occidentali, grazie all'assenza di trattati di estradizione con il Ruanda.
il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda in dieci anni ha giudicato e condannato soltanto una ventina di persone.



1.000.000 di uomini, donne e bambini sono stati massacrati, torturati e violentati con ferocia inaudita mentre il mondo continuava imperterrito il suo movimento rotatorio (la Terra percorre un'orbita completa in 365 giorni ad una velocità media di 30 km/s con una circonferenza orbitale di 940 milioni di km).
Il mondo gira e mescola tutto, genocidi e singole morti più clamorose dei primi, e fatti insignificanti ma più interessanti:
L’8 aprile a Seattle si scopre il cadavere del leader dei Nirvana Kurt Cobain.
Il 1° maggio durante il Gran Premio di San Marino di Formula 1 muore Ayrton Senna.
Il 10 maggio in Italia si forma il primo governo Berlusconi, e in Sudafrica Nelson Mandela viene eletto presidente.
Il 18 maggio il Milan ad Atene vince la sua quinta Champions League.
Il 13 luglio in Italia il governo vara il concordato fiscale che concede agli evasori di chiudere i contenziosi beneficiando di sconti.
Il 17 luglio il Brasile vince il Mondiale disputato negli Stati Uniti d'America contro l'Italia, 0-0 ai supplementari e 3-2 ai rigori.
Ricordo anch’io quella partita, molto più nitidamente delle immagini dei massacri che giornali e televisione diffondevano.
Probabilmente sono rimasto più addolorato dalla morte di Senna e Cobain che da quella del milione di morti ruandesi.
Le immagini dei loro corpi fatti a pezzi, forse per l’orrore che suscitavano, venivano subito rimosse e i pensieri deviati verso lidi più lieti.
Quello non è stato un brutto anno per me, e per molti altri.
Bastava non avere la sfortuna di essere Tutsi, o loro amico, in Ruanda.
E questo vale sempre, per tutte le ingiustizie.
Basta non esserne colpito.
E non pensarci.
Per vivere meglio, per continuare a vivere.
Io affronto i miei problemini, mi diverto con i miei giochi, amo la natura e il mondo…
Che continua imperterrito il suo movimento rotatorio, attorno al suo asse e attorno al sole.
Bello, il sole. Very Happy Smile Confused


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