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Introduzione, passacaglia e fuga

 
Nuovo argomento   Rispondi    Indice del forum -> Montagna oltre lo scialpinismo

ape277 Rispondi citando



Registrato: 04/09/06 11:38
Messaggi: 526
Luogo di residenza: Marter Valsugana (TN)

MessaggioInviato: Mer Lug 14, 2010 17:12    Oggetto: Introduzione, passacaglia e fuga
 
Il presente racconto può essere integrato con le foto contenute nell'album
http://picasaweb.google.it/albertopedrotti/Passacaglia
Fra parentesi quadre le foto relative a ogni episodio; la carta del giro sta in fondo.
Le date sono: Presanella domenica 27 giugno, Cimadasta 30 giugno, il giro di una settimana da venerdì 2 luglio a giovedì 8 luglio.

Introduzione. Presanella e Cimadasta [001-037]

«Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si era visto in estate, vedere di giorno quel che si era visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva; vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era.
Bisogna ritornare sui passi già fatti, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio.
Sempre.»

(José Saramago)

Questa la citazione che trovo appesa di fronte al bancone del Rifugio Denza, in Presanella, mentre attendo che la nostra comitiva si ricompatti. Siamo ancora i quattro della Tresenta (cfr. http://forum.thetop.it/viewtopic.php?t=5979), e siamo partiti stanotte poco dopo le tre, diretti al versante nord, dove il mio principale timore è legato al sovraffollamento - io ho dormito proditoriamente sopra la chiesetta, il locale invernale al quale ero stato destinato era insostenibile per l'olfatto. Ieri sera avevo guardato Mariagrazia abbastanza storto quando aveva detto «basta essere i primi, cosí non ci sono problemi». E invece aveva ragione: alla crepaccia terminale ci leghiamo e, grazie anche alla neve ottimale e alle due piccozze, instauriamo un'andatura a metronomo che ci porta a essere i primi, alle 6.30, a sbucare sulla vetta, in un'atmosfera magica e rarefatta. Oddio, c'è anche un velo di tristezza a stare qui su seduti su un sasso ad aspettare; sarebbe stato bello che durasse ancora quella scala regolare verso il cielo: sopra, un pendio tutto vuoto e sotto, meraviglia, una corda che non tira mai indietro!

Al rifugio, dopo un bagno nel soprastante lago, troviamo che tiene banco l'attrattiva di un puntino nero incrodato poco sotto la cima: è uno con lo snowboard che non è piú capace di scendere né di salire. Sarà un seguace di Internet, penso, ma di sicuro è scarso in cultura classica, altrimenti orecchierebbe il detto «quod licet Iovi non licet bovi». Brutta cosa l'imitazione pedissequa - peggio ancora se sciissequa. Ci siamo comunque divertiti oggi, e stabiliamo di ritrovarci il prossimo fine settimana sotto il Gran Zebrú, dove Edoardo è impegnato con una gita del CAI di Cirié.

Prima però un'altra scaramuccia infrasettimanale. Stavolta l'appuntamento non è con Cirié, bensí direttamente con Hong Kong; è da lí infatti che il mio amico Marco si è liberato una decina di giorni per una puntata in Italia. Partenza a tre scaglionata, lui da Telve, Remigio da Borgo, io da Marter, e ci troviamo a legare le bici assieme in Cinque Croci. Di lí, puntiamo verso il Vallone Occidentale di Cimadasta. Poco sopra il Seolè del Sasso Spacà, capolavoro toponomastico di Franzi Vitlacil, la carovana si divide: Remigio va a mangiare al rifugio, mentre io tenterò di introdurre Marco a quello che considero il sancta sanctorum di Cimadasta, ossia la testata del Vallone del Coronon. Fa un certo effetto essere quassú: intorno a noi, il Lagorai già completamente sgombro, mentre in Cimadasta ancora si nuota nella neve - ghiacciati tutti e due i laghi, anche quello davanti.

Marco sembra gradire; se trovassimo qualcuno, faticherebbe a capire che viene da Hong Kong e sale da fondovalle senza allenamento. Ma tanto il problema non si pone, perché di sicuro quassú non si incontra nessuno. In discesa il meteo si guasta ma, tempo di risalire dal vallone a Forcella Magna e si ristabilisce, per cui è garantito un bagno nel primo dei laghi di Lasteati. La collezione di bagni estivi procede dunque bene.

Quello che non funziona bene, secondo me, è l'idea di andare al Gran Zebrú domenica; non è un posto simpatico da starci in colonna. Mariagrazia è d'accordo, e decidiamo di giocare di anticipo. Insomma, vi sarà una scheggia impazzita del CAI di Cirié che si muoverà da casa già venerdí, e farà tutto con un giorno di anticipo.

1. Tonale, Gavia e Pizzini [038-046]

Il venerdí, però, accade che al mattino io debba andare a sentire degli esami di organo di alcuni miei compagni. Rimarrò fino a mezzogiorno, e poi mi aiuterò con un pezzo in treno: il progetto di fare Tonale e Gavia, e infine comparire al Pizzini entro ore ragionevoli, il tutto con la bici carica di piccozza, ramponi, casco, imbrago, corda, rimane comunque audace. Tanto che ho dei seri dubbi di riuscirci.

A un certo punto viene eseguita la Passacaglia di Bach. Uno dei capisaldi del repertorio organistico, ma che impressione a sentirlo dal vivo in una grande chiesa! In questo pezzo il tema, che si ripete sempre uguale, per lo piú al basso, viene rivestito sopra di sempre nuove invenzioni armoniche e contrappuntistiche: sembra la perfetta trasposizione in musica del foglietto del Rifugio Denza. Il tempo per l'esecutore di spostare il piede dall'ultima nota, che è anche l'ultima dell'organo, alla prima, un bel pezzo sopra, e via, il viaggio ricomincia. A un certo punto, se ci si lascia sommergere dalle onde della musica, si possono avere anche visioni strane... Io ne ho due; nella prima, mi viene in mente la Scena nel Duomo del Faust, nella quale alla fine, sommersa dal suono dell'organo e tormentata dal Maligno, Gretchen sviene. Non è il mio problema: vedendo tutta la mia ferraglia il Maligno non oserebbe avvicinarsi. La spiegazione comunque è pronta: Schumann, nelle sue musiche per il Faust, all'inizio di questa scena ha più o meno consapevolmente scopiazzato delle battute dalla Passacaglia. Più strana la seconda, nella quale la traiettoria delle note, immaginata sullo spartito, si tramuta nei tornanti del Gavia, immaginati sulla carta. Non capisco questa ossessione per il Gavia, in fin dei conti sono in una botte di ferro, come da accordi ci troveremo con Mariagrazia da qualche parte sopra Ponte di Legno, e lei mi allevierà di tutto il bagaglio.

Terminata la fuga che Bach fa seguire alla Passacaglia, inizia la mia personale fuga verso la Trento-Malé, dove ho anche la compagnia di Renrav che torna dal lavoro e pregusta la sua Nordend. Passato il Tonale, prima di attaccare il Gavia telefono a Mariagrazia per vedere a che punto è. Vengo così a sapere che quella si è affidata al navigatore, il quale l'ha mandata su per il Mortirolo! Che tra l'altro io considero il passo piú insulso delle Alpi, dato che chi vuole fare in fretta va per l'Aprica, e che vuole fare del turismo va per il Gavia.

Non resta che abbeverarsi al fontanino di Sant'Apollonia e andare. Eccoli, i tornanti delle "visioni" - ma il percorso è talmente bello che ben presto si dimenticano e peso e fatica. Il Gavia è forse l'unico dei nostri passi ad avere quel «respiro» tutto speciale dei grandi valichi delle Alpi francesi: la Bonette, l'Iseran, il Ventoux.
Se il Gavia è un gigante buono, non altrettanto si può dire dell'ultima salita, quella che porta all'albergo dei Forni: rampe che svuotano le gambe alternate nervosamente a tratti oziosi e a contropendenze. Meglio va sopra dove, dopo una gran rampa messa forse lí per scoraggiare i principianti, la sterrata prende un'andatura regolare sull'aperto fianco destro della Val Cedec. Alle 21.30, in ottima sintonia con la previsione «fra le nove e le dieci», appena sotto il rifugio incrocio Mariagrazia che mi ha avvistato e mi sta correndo incontro.

2. Gran Zebrú [047-066]

Saliamo al Gran Zebrú a fianco di un gruppo di austriaci. Sono in quattro e messi assieme totalizzeranno, a occhio, sui 250 anni: ciononostante, il piú arzillo di loro dà il cambio a battere traccia fino all'ultimo. Alle 6.40, quasi come in Presanella, eccoci in cima ad aggiornare le tracce ormai smussate dei giorni scorsi. Dato che la giornata è ancora lunga, si tratta di studiare qualcosa. Scendiamo lungo la cresta di Solda fin dove essa è nevosa, esercitandoci a stare appesi alle cornici.

Ancora però non s'è tirato tardi abbastanza. Sotto il pendio della Bottiglia addito a Mariagrazia il colle delle Pale Rosse, e constato che lei approva. La cima omonima potrebbe crollare da un momento all'altro, ma un primo risalto della cresta che vi conduce propone una bella feritoia di guerra dalla quale osservare il canale delle Pale Rosse - sciabile ancora pochi giorni fa, ed ora tutto pelato.

Al rifugio ci sdraiamo sull'erba e aspettiamo che venga l'ora per salire a cena al Casati, dove si creerà un tavolo con quattro reduci dalla Bolivia: Torino, Milano, Trento e Pordenone le città rappresentate. Davvero cosmopolita questo CAI di Ciriè. E anche molto tollerante: Mariagrazia e io, infatti, avendo già salito oggi la cima designata, domani ci staccheremo per andare verso il Cevedale. La cosa va negoziata con la custode del rifugio, che è un verso sceriffo e convoca il capogita per avere conferma diretta della nostra autorizzazione!

3. Un Cevedale, due Paloni e zero Taviele [067-107]

Alle sei il Cevedale è tutto nostro nel primo sole. Traversiamo le Rosole e ci troviamo sul Palon a riflettere ancora una volta su come impiegare le ore successive. Tredici Cime in giornata? No, forse meglio farle un'altra volta, con meno neve destinata a mollare, e nel verso giusto, dal Tresero al Cevedale. Mangiata al Vioz? No, è troppo presto. Guardo la maestosa sagoma della Taviela, con la sue tre cimette, fra cui quella di sinistra espone un bel pendio nevoso. Se ci sbrighiamo possiamo andare lí, saltando il Vioz; poi in qualche modo, per cresta o per il «passaggio nascosto» sotto la Cima di Peio, potremo andare a prendere il Corridoio del San Matteo. Traversiamo i Forni e arriviamo alla base del pendio.

Si sale bene, ma quando siamo quasi fuori spunta del ghiaccio bagnato e marcescente. Non sembra terribile, ma... vi è che fra gl'innumerevoli vasi di ferro dell'alpinismo, si cela anche un vaso di coccio: il sottoscritto, che si spaventa con molto poco. D'altronde, pretendere che tutti fossero di ferro mi sembrerebbe un notevole attentato alla biodiversità. Urlo che si fa dietrofront, cosicché nel seguito ci troviamo seduti sull'isolotto roccioso che fa da vedetta sopra il bacino glaciale NNO della Taviela: ancora una volta in cerca di idee. Stavolta però le idee, e chiare, le dà il Colle Vioz, che tutt'a un tratto comincia vigorosamente a pompare nuvole scure. Meglio attraversare i Forni il piú presto possibile, cosí da avere a disposizione le sicure tracce dall'altra parte. Non appena il Colle ci vede in fuga, smette di pompare, e a sprazzi torna il sole: Mariagrazia è estasiata. Curiosamente, lei che è stata sul Baltoro, l'Aconcagua, lo Huascaran etc. non aveva mai calpestato i Forni. Segue un'altra delle mie proposte: risalire al Palon, cosí da far vedere alla Taviela lí di fronte che ci consoliamo con la doppia traversata di un'altra cima. Mariagrazia approva anche questa. Durante la discesa per il traccione del percorso classico scialpinistico, il tempo si guasta nuovamente; non basta tuttavia la pioggia a trattenermi da un bagno nel lago di Rosole.

Al Branca ci salutiamo, Mariagrazia deve rientrare, e io risalgo da solo la Val Cedec. A un certo punto taglio per i prati in direzione dei Passi di Zebrú, puntando fra reticolari e altre opere di guerra alla cimetta quota 3119 che li separa, per poi calare a nord in cerca del bivacco segnato sulla carta Tabacco. Niente da fare, il bivacco non si trova e la spiegazione la apprendo mezz'ora dopo al Pizzini: il bivacco era ormai in rovina e lo stanno usando al rifugio come legna da ardere.

4. Colle di Verva e Cima dei Piazzi [108-130]

Basta, ormai da queste parti si è girato abbastanza. Oggi voglio andare a fare la Cima dei Piazzi della quale mi parla sempre il mio amico Gino Odorizzi. Praticamente tutti la conoscono, per averla vista, magari senza saperlo, sulle bottiglie di acqua Levissima.

Credo sia raro che uno dorma al Pizzini per salire la Cima dei Piazzi, ma oggi accade. Scesa tutta la Valfurva, risalgo in direzione Livigno fino ad Arnoga. Qui mi addentro per la Val Viola, ove bisogna scendere sensibilmente per imboccare la sterrata di Val Verva. La Cima dei Piazzi non è remotissima, ma ha la caratteristica di lasciare a distanza di rispetto tutti i centri abitati. Di conseguenza, tutti gli avvicinamenti sono lunghi, come conferma anche la presenza di piú di un bivacco. La via normale da sud, tuttavia, anche se non sarà la sontuosa salita dal versante nord, sembra fatta apposta per la simbiosi con un avvicinamento ciclistico.

Lasciata la bici al Colle di Verva (2301), salgo per prati e rocce montonate scintillanti di acqua fino a una ripida morena, al sommo della quale vi è un vasto nevaio, guardato da una parete di roccia marcia. Quest'ultima sembra mostrare un unico punto debole: un ripido canale di neve, interrotto in alto da una cascatella. La cascatella non è un posto allegro. Dall'ultima, inaffidabile lingua di ghiaccio, devo aiutarmi con la piccozza per ghermire le poche nervature della roccia nascosta sotto lo scroscio: gli esperti direbbero che sto facendo del dry tooling ma, data la particolare ambientazione, direi trattarsi piuttosto di wet tooling. Raggiungo i sostenuti nevai superiori, e per questi la cresta che porta all'ormai nudo corno roccioso della cima (3439). Mi trattengo pochissimo perché l'assetto del cielo è temporalesco; in discesa trovo, nascosto da un torrione, un canale parallelo e meno rocambolesco. Piú o meno lo sospettavo; non poteva essere quello il passaggio giusto in una via che la guida CAI classificava, come ricordavo, F+.

Ripresa la bici, esploro un poco la parte bassa della Val Viola, prima di tornare ad Arnoga e al suo grande albergo utile per ordinare cena anche se, temo, troppo lussuoso per pernottare. Mentre aspetto i pizzoccheri mi consiglio con il mio maestro Gino, che con le sue dritte mi guida telefonicamente dalla Sardegna. Gino mi raccomanda di trattenermi da queste parti un'altra giornata. Siccome ormai si è fatto tardi per raggiungere i rifugi, mi sistemo per la notte sul ballatoio di una baita. Lo zerbino di casa mi fa da materassino, il foglio di alluminio da sacco a pelo.

5. Pizzo Dosdé, Cima di Lago Spalmo e Val d'Avedo [131-166]

Lasciato il mio status di uovo di Pasqua, prendo a risalire la strada di Val Viola, che alla Baita Altumeira diventa sterrata e vietata al transito. Poco oltre, ecco il bivio fra l'alta valle e il bacino di Dosdé, chiuso dalle Cime di Lago Spalmo, delle quali io sono interessato alla Orientale (3291). Dice di essa la guida del CAI: «la sua maestosa struttura ricorda nell'aspetto i colossi delle Alpi»; con gli sci, è un OSA che fa concorrenza a Cima Piazzi. Arrivo al novissimo Rifugio Federico al Dosdè, dove parcheggio, mangio colazione e opero ancora una volta la metamorfosi del bagaglio.

Come già alla Piazzi, anziché seguire le gloriose orme di Gino sul ghiacciaio pensile N, opto per una via piú dimessa da NE. A metà salita, manco a dirlo, il cielo si rabbuia, onde decido, per prendere tempo, di andare intanto al piú innocuo Pizzo Dosdé (3280). Il percorso è di quelli che sembrano progettati appositamente per lo scialpinismo: un lungo ferro di cavallo che svela un po' alla volta valloncelli e ripiani, fino all'apparizione tardiva della vetta, raggiungibile comodamente sci ai piedi. Il meteo si riapre, e studio la mia cima. Scendo fino alla stazione glaciologica sulla Vedretta di Dosdé, indi salgo tenendomi alto sui coni di neve, dove non dovrebbero esserci crepacci. Visto da vicino, l'accesso alla cima non è per nulla banale. Quella che dal Pizzo sembrava una comoda passeggiata si rivela un liscione di roccia che sostiene, piú in alto, un cono di terriccio e fango. Per passare di lì bisognerebbe aver prima fatto testamento - avendo avuto cura di destinare a opere buone una quantità di beni bastevole alla salvezza dell'anima. Ora però penso di più a quella del corpo. Punto verso la cresta dirimpetto, ma piú m'avvicino e meno mi pare praticabile. Nuova virata a 180. Sorpresa: a sinistra del liscione, piú in alto, è comparsa una cengia nevosa che va a finire sul cono fangoso molto in alto: si potrà passare? Vado in cerca della risposta, che suona: meglio di no. Allora non resta che girare la testa indietro, e guardare verso una parete all'apparenza verticale, che va a finire contro nubi minacciose. Osservando meglio, però, il bastione è solcato da un sistema di cenge oblique disposte in maniera sufficientemente casuale, da far ritenere che la probabilità di passare sia ragionevole. Salgo, disseminando pavidamente il percorso di ometti per un'eventuale ritirata. Ad un certo punto smetto: capisco che la via è ormai troppo tortuosa per ritrovarla, l'unica è uscire. Dopo qualche minuto in apprensione, finalmente le rocce si coricano ed appare l'ometto di vetta.

Sono a posto? Macché. Scorrendo la guida durante colazione, ho genericamente letto che esiste una via da sud; ora si tratta però di trovarla. Fortunatamente bastano pochi studi per scovare una nervatura nascosta che cala nel grande catino chiuso dalle pareti verticali e viscide di Cima Viola. A un acquitrinio trattenuto da una morena mi compare in basso il Lago Spalmo. Traversando grossi massi dirigo verso uno spuntone (Sasso Camoscio) proteso sulla Val d'Avedo, ancora ignaro se sotto si passerà o meno. Va bene anche questa, e con calata direttissima raggiungo il fondovalle, e insieme la tranquillità, sui 2300 metri, poco a monte dei Laghi di Tres. La testata della valle, non a torto raccomandatami da Gino, è un susseguirsi di conche glaciali appena accennate. Dietro, lontana sullo sfondo, sta in sentinella la familiare sagoma della Presanella.

Contornato il Lago Negro (2560) salgo al Passo Dosdé (2824), con un bivacco stipato di brandine. (Al rifugio mi spiegheranno che dal «grande catino» vi è una insospettata cengia che contorna alla base tutto il paretone di Cima Viola e conduce in piano al valico). Non mi resta che la lunga discesa sotto le pareti di Cima Viola, dove poco rimane dei fasti glaciali di un tempo. Giú al rifugio e all'Alpe Dosdé il tormentone stasera è quello di una mucca andata a perdersi, e probabilmente a morire, su verso il Bivacco Caldarini. Cena e passeggiata digestiva in bici fino al Lago di Val Viola.


6. Passo di Val Viola, Bernina, Forcola, Passo d'Eira, Foscagno e Stelvio [167-217]

Al mattino ritorno al lago e proseguo verso il passo. Qui succede una cosa piuttosto strana: la segnaletica svizzera prende in mano la situazione già prima del cippo di confine. In particolare, vi è una freccia con disegnata una bici rossa: questa andrebbe assolutamente seguita, poiché conduce a un valico alternativo, nascosto ma molto piú comodo. A me la complicata orografia della zona si rivela solo quando sono ormai sul versante svizzero, con la bici in spalla lungo lo scomodo percorso «pedonale»: è solo un taglio, che però a un certo punto deve risalire a prendere la traccia «ciclistica». Il comodo sentiero quasi sempre pedalabile scende all'incantevole sito del Lagh da Val Viola (2159) - come si vede, cambia il versante ma non cambiano i nomi, in quanto esistono una Val Viola Bormina e una Val Viola Poschiavina. Trovo lo sterrato all'Alpe Campo, dove non manca nemmeno un officina che ripara bici. Scendo fino a Sfazü (1622), sulla strada del Bernina.

Risalgo attraverso le note tappe, La Rösa, La Motta, mentre la giornata ventosa si fa di una bellezza sempre piú scintillante: impossibile, in queste condizioni, resistere a una puntata al Passo del Bernina, dove mi collego idealmente a un giro dell'anno scorso:
http://forum.thetop.it/viewtopic.php?t=4488
Riscendo al bivio de La Motta dove inforco la via delle Forcola - in una curiosa vallata a V con il fondo occupato per intero dalla strada, non a caso una di quelle che restano piú a lungo chiuse per valanghe. Arrivo a Livigno, un vero e proprio cul de sac alpino dove bisogna salire sia per entrare che per uscire. Io esco attraverso l'accoppiata Passo Éira - Foscagno. Quest'ultimo mi porta discrete emozioni: un bagno nel torrente dalla parte di qua, e dall'altra l'improvviso aprirsi della vista su tutto il gruppo dell'Ortles-Cevedale.

Ad Arnoga si chiude l'anello del mio intermezzo fra le Alpi Retiche, ma giú a Bormio mi attende la sesta e ultima fatica di giornata: il Passo dello Stelvio. Sebbene io sia un fan del Gavia, anche questa è una salita molto godibile, divisa come è in sezioni ciascuna con una sua individualità: il lungo mezzacosta con le gallerie, i tornanti di Spondalunga, la spianata di San Ranieri (che spianata non è), gli ultimi tornantini sopra la quarta cantoniera. Sul passo, l'ombra delle montagna mi batte allo sprint, l'aria si fa frizzante e scendo alla svelta, posponendo la pur importante causa della cena. Alla Franzenshöhe comincia male, stanno già apparecchiando la colazione. A Trafoi mi spazzolo, dall'alto verso il basso, tutti gli alberghi, ma c'è poco da fare, l'ordine teutonico che qui regna non contempla piatti di pasta all'avvicinarsi delle 22. All'Hotel Posta la buona sorte mi mette sulla strada un cameriere pakistano che si impietosisce di me, e intercede per la mia causa nientemeno che dal proprietario. Risultato: di lí a poco mi ritrovo a prosciugare il piatto in un fastoso salone pieni di specchi e cristalli ma desolatamente vuoto; sento solo gli echi della vita che pulsa tutta altrove, davanti allo schermo di Germania - Spagna. Mi giunge tutto un selvaggio scruccamento di fonemi: incoraggiamenti, imprecazioni... finché a un certo punto il tutto lascia posto a un silenzio prèsago.

Finita la cena, ho conferma dei miei sospetti: sullo schermo, un grumo di schiene rosse che si saltano addosso; l'arbitro ha appena fischiato e fatico a trattenermi dal mostrare segni di esultanza - stasera, infatti, dopo l'odissea della pastasciutta, il mio spirito è decisamente latino, anzi, per essere piú precisi, latino-pakistano... Si sa: l'animo umano professa sempre alti ideali di fermezza e costanza, ma in realtà è sempre alquanto lesto ad inclinare verso chi si cura di riempire l'annessa panza.

Ora la giornata è quasi finita. Risalgo alle Tre Fontane per cercare la partenza del sentiero per il Borletti. Comincia a fare freddo e mi accampo, con il mio foglio di alluminio, nella piccola cappella poco sotto il santuario. Anche chiudendo le porte, capisco che con il freddo che mi viene dalla pietra sotto non riuscirei a chiudere occhio. Sopra il santuario, tuttavia, ho notato che alcune panchine erano coperte con delle massicce assi. Saranno lunghe sei metri e sono al limite della trascinabilità, tuttavia riesco a posizionarne una nella cappella, per quel poco che vi entra. La nuova configurazione mi costringe a tenere le porte aperte ma, isolato dalla pietra, a sprazzi riesco quanto meno a dormire.

7. Ortles [218-252]

Sveglia benvenuta alle tre. Secondo i miei calcoli, dovrei trovare qualcuno che parte dal Borletti. Lassú invece, il rifugio è sprangato e tutto tace. Sosto mezz'ora, punto la pila dentro le finestre, ma senza effetto. Alla fine parto tutto solo, senza le informazioni che avrei sperato sul tracciato che intendo seguire: la Via dei Meranesi, come da istruzioni pervenutemi dalla Sardegna. L'attacco è ben segnalato, e non ho difficoltà a trovare, con la prima luce, la rampa obliqua che sale al lungo crestone. La salita è facile e per alcuni tratti assicurata da cordini; si tratta comunque pur sempre di 2 km abbondanti di percorso lungo il quale è proibito mettere il piede in fallo. L'ambiente è grandioso; la cresta, tutto un susseguirsi di torrioni, non solo il Corno di Plaies, che si scopre essere solo un primus super pares. Esco dal tratto roccioso che mi sento anch'io un torrione. Ma non è ancora finita: non solo la Thurwieser, ma anche i Coni di Ghiaccio e la Trafoier Eiswand ancora mi sovrastano. E, soprattutto, ora c'è il ghiacciaio. Drizzo tutte le antenne, per quel poco che può servire, ma fortunatamente la nottata che nel solo foglio d'alluminio mi ha fatto soffrire qui sulla neve ha fatto un buon lavoro. Seguo una traccia che invece non ne seguiva nessuna, se è vero quanto mi diranno alla Borletti che sono il secondo in questa stagione a salire per di qui.
Alle nove sono in cima. Ero già stato da queste parti, non saprò mai a quanti metri dalla croce la tormenta mi avesse fermato: http://www.thetop.it/index.php?page=view_abs&n_abs=2833.
Di sicuro è la prima volta che vedo la cima dell'Ortles e il suo panorama, che trovo magnifico. Non è come quello del Bianco, che è quasi troppo tirannicamente alto, specie nei confronti dei sui satelliti. Qui invece la montagna maggiore ha, nelle vicinanze, dei validi antagonisti, che preservano la tridimensionalità del quadro, senza per questo pregiudicare la completezza del panorama a 360 gradi.

Diverse cordate sbucano dallo Hintergrat. Ci sono anche due coniugi con una giovane guida che molto gentilmente mi rassicura: non vi sono impedimenti particolari, corde doppie o altro, lungo la via normale, potrò scendere di lì e fare così una traversata della montagna. Un'informazione come questa vale bene la promessa di una birra al rifugio. Arrivano in cima due spagnoli che per prima cosa pensano alla foto di vetta. Compongono il quadro. Poi si ricordano che debbono sistemarsi bene le braghe, «porque la estética es importante». Con le braghe ben lisciate si rimettono in posa. Nuovo improvviso sussulto: vogliono togliere di mezzo i miei attrezzi, disseminati nei pressi della croce: «porque la estética»... Eccoli di nuovo pronti, ci siamo? No, nuovo contrordine. Bisogna perfezionare gli anelli di corda: «la estética es importante!» Le mie mani, al vento della cima, cominciano a soffrire un po' questa prolungata ricerca estetica, ma non va dimenticato che il mio spirito in questo momento è tutto latino-pakistano, ragion per cui sono disposto a pazientare. Andato finalmente in porto lo scatto, chiedo in cambio il piccolissimo favore di fare a pezzetti l'Olanda - i due peraltro hanno appreso solo pochi metri più sotto, da un'altra delle cordate dello Hintergrat, di essere in finale. Che bello stare in giro e non essere condannati a sapere tutto e subito!

Il Payer è delizioso: nido d'aquila di fuori, accogliente e familiare nella luce soffusa dell'interno, curato con premura tutta altoatesina. «Erbaut von der Sektion Prag»: come si fa a non entusiasmarsi al solo leggere questa iscrizione? Si pensa all'Austria, all'Impero, a Josef Pichler cacciatore di camosci ne sale la cima piú alta per intascare la «taglia» che vi pende... Ovviamente non si campa di solo entusiasmo; ma ecco allora materializzarsi pasta, birra e strudel a sazietà.

Ne approfitto per una piccola nota di carattere economico. (Chi non è insegnante e quindi non ha di questi problemi può saltare il paragrafo). Come tariffe in montagna direi che siamo nella totale anarchia. Al Payer (rifornimento con elicottero in volo, e quest'anno nemmeno l'acqua corrente) pasta, strudel, birra per me, birra prepagata per la guida (che è impelagata su per le roccette con i clienti stanchi, ma io non posso attendere, dato che ho davanti a me un lungo rientro): il tutto 16.50 euro. Rifugio Bonetta, comodamente lungo la strada del Gavia: pasta 11 euro, birra 7. E ancora: rifugio Casati, trattamento non memorabile, mezza pensione 49 euro. Ecco invece cosa ho avuto per 39 euro al Rifugio Federico al Dosdé: cena con primo, secondo, insalata, dolce e un litro di birra; pernottamento a livello di albergo a tre stelle, doccia calda ad libitum, colazione bastata poi fino alla base dello Stelvio, il gestore guida alpina che ti spiega tutto quello che vuoi, la moglie competente anche lei; come bonus, perfino il raro spettacolo dei figli che si alzano alle otto a fare i compiti di matematica! (Cosa c'entra, diranno i lettori? cazzi loro, avevo detto a chi non era insegnante di saltare il paragrafo).

Per scendere al Borletti devo prima attraversare lunghi nevai di neve marcia, ma la cosa mi pesa minimamente, pervaso come sono dall'ammirazione per tutto ciò che suona altoatesin-austroungarico-teutonico. Giunto alla bici, mi butto direttamente nello zampillo della triplice fontana, nella quale finisce idealmente, come in una cadenza conclusiva, la mia lunga fuga. In realtà uno sciopero dei treni mi costringerà ad inforcare di nuovo la bici a Trento, ma questi sono dettagli ai quali siamo anche abbastanza vaccinati.

L'indomani faccio la conta delle cime e dei passi: dieci e undici rispettivamente, dunque ventuno. Preso da un sospetto, tiro fuori lo spartito della Passacaglia di Bach, e conto il numero di ritorni del tema: anche quelli ventuno. Dunque, col senno di poi, quando uscivo dalla chiesa di Cristo Re non era una fuga che stavo iniziando, ma una nuova passacaglia - era l'usato viaggio che ricominciava, ancora una volta: sempre.
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l'ultima strega Rispondi citando



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MessaggioInviato: Mer Lug 14, 2010 19:12    Oggetto:
 
Ape, ma se sei così un grande, perchè non ce le distilli più spesso queste pillole?

Ancora sto ridendo, e sono fortemente ammaliata dal tuo incantevole e avventuroso giro, che per chi legge, inconsapevole, può pensare semplice e deduttivo. Al contrario, mescolare note, pedalate e calpestate, frammiste a canali inesistenti, cornici appese e ricoveri divini, rende il pellegrinaggio ben altro che una fuga.......
.........una splendida impresa, che non mancherò di suggellare nel vostro Grimorio (qui), a memoria per i posteri o dei più sbadati.

grazie di cuore per aver condiviso questa bella esperienza Razz Wink
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Torno a casa ma ho già voglia di ripartire. Ho capito qual è il senso di una spedizione.E' salire una montagna andando oltre.E' distaccarsi dalla cima da elenco ... E' vivere l'assenza di radici come un cammino di libertà.... (Silvia M.Buscaini )


L'ultima modifica di l'ultima strega il Gio Lug 15, 2010 17:11, modificato 1 volta
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menz Rispondi citando



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MessaggioInviato: Mer Lug 14, 2010 20:31    Oggetto:
 
Entusiasmante... liberta' di fare e disfare.. certo sostenuta da una volonta' di ferro (macche' coccio Wink )....

p.s Quando passi dal gigante chiedi rivolgi sempre un saluto all'apu di cima Gavia che vigila il passo...
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Quando sei stanco, la strada del ritorno è in salita e il vento sempre contrario
Davide
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clark Rispondi citando



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MessaggioInviato: Mer Lug 14, 2010 22:55    Oggetto:
 
Grandissimo Ape! Come sempre! Più di sempre! Very Happy
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le cose semplici sono le più belle
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enrico r. Rispondi citando



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MessaggioInviato: Gio Lug 15, 2010 16:02    Oggetto:
 
l'ultima strega ha scritto:
Ape, ma se sei così un grande, perchè non ce le distilli più spesso queste pillole?

Ancora sto ridendo, e sono fortemente ammaliata dal tuo incantevole e avventuroso giro, che per chi legge, inconsapevole, può pensare semplice e deduttivo. Al contrario, mescolare note, pedalate e calpestate, frammiste a canali inesistenti, cornici appese e ricoveri divini, rende il pellegrinaggio ben altro che una fuga.......
.........una splendida impresa, che non mancherò di suggellare nel vostro Grimorio, a memoria per i posteri o dei più sbadati.

grazie di cuore per aver condiviso questa bella esperienza Razz Wink

Concordo con la Strega. Solo un lieve timore mi trattiene dall'insistere pure io per averne di più: gli equilibri di chi viaggia e scrive dei suoi viaggi sono delicati, meglio non turbarli. C'è il rischio che per scrivere di più viaggi di meno. Oppure, al contrario, che per avere più materiale del quale scrivere viaggi di più e non gli rimanga più il tempo per scrivere.
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enrico r.
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giovannibusato Rispondi citando



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MessaggioInviato: Gio Lug 15, 2010 18:36    Oggetto:
 
tanto di cappello, vecchio mio !!!
Una sinfonia di montagne.
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giovanni
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renrav Rispondi citando



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Luogo di residenza: TN

MessaggioInviato: Gio Lug 15, 2010 21:28    Oggetto: Re: Introduzione, passacaglia e fuga
 
ape277 ha scritto:
.....Terminata la fuga che Bach fa seguire alla Passacaglia, inizia la mia personale fuga verso la Trento-Malé, dove ho anche la compagnia di Renrav che torna dal lavoro e pregusta la sua Nordend.....


e si...è già un ricordo...bello è stato incontrarti sul trenino Razz ti ricordi mentre parlavamo delle nostre avventure che facce facevano quelli seduti vicino? secondo me ci scambiavano x marziani!!
stupendo il tuo viaggio! ami la montagna tantissimo e sei capace di cogliere l'attimo migliore.... l'alba dall'alto Razz
ciao amico mio!!
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la gardenese Rispondi citando



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Luogo di residenza: Castelfranco Veneto

MessaggioInviato: Sab Lug 17, 2010 11:57    Oggetto:
 
...senza fiato...

semplicemente meraviglioso...reso incantata da parole e musica...e imprese Exclamation
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E' QUI LA FESTAAAA?
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Valentino_52 Rispondi citando



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MessaggioInviato: Dom Lug 18, 2010 0:17    Oggetto:
 
Mi sei quasi passato sulla porta di casa (la chiesa di Cristo Re è a 200 m) in punta di pedali.....


Ho trascorso la sera a leggerti e rimirare le tue foto....
non trovo gli aggettivi per commentare, forse bisogna forgiarne di nuovi,
o forse è l'ora tarda.... Wink



Questo è "materiale" per il Paesello, e non solo, vero Giovanni?
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ape277 Rispondi citando



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MessaggioInviato: Lun Lug 19, 2010 13:35    Oggetto:
 
Un saluto a tutti quanti hanno resistito alla Passacaglia senza darsi alla Fuga...

Strega + Enrico: domanda e risposta a cui non c'è nulla da aggiungere.

Menz: queste montagne immagino che saranno le tue in particolare...
Devo una volta andare dalla parte di Cima Gavia, ma sono sempre attratto dalla Battaglione Ortles, dalla parte opposta, che è il mio bivacco preferito. La cosa curiosa è che quando sei a Ponte di Legno e guardi su la strada "sospesa" del Gavia, per te quello è il remoto più remoto; quando poi sei alla Battaglione e guardi giù la strada del Gavia, magari di sera con qualche rarissimo faro che squarcia la nebbiolina, per te quella è la civiltà...
A proposito di bivacchi. L'altro ieri ero su al Meneghello e alle 7 di sera sono piombati in sei nel cubo da sei posti... partiti dal Vioz alle 6 di mattina... Shocked per il Principio della Piccionaia, due di loro hanno dovuto dormire nella stessa branda.
Ma questi poi sono dei professionisti! Mi hanno raccontato che qualche anno fa hanno preceduto sul luogo due Ottisti, i quali sono rimasti fuori dalla Piccionaia a dormire nella bufera e, il giorno dopo, hanno dovuto rinunciare alla nord del San Matteo in quanto esausti Wink (Il libro del bivacco confermava peraltro tutto).

Renrav: un po' sconvolti lo erano. Ma non so se era per causa nostra o per via di quei panzoni che salivano con le bici diretti a Bolzano (questo sulla Trento - Malé, n.d.r.)

Valentino: è tutto l'anno che andiamo in Cristo Re a fare lezione, di primo pomeriggio, ma non ci siamo mai incontrati. D'altronde voi Geometri mica fate la pausa pranzo in chiesa Wink
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Laga ìa con chel libre di mostàz!!
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Valentino_52 Rispondi citando



Registrato: 21/02/06 09:49
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MessaggioInviato: Lun Lug 19, 2010 16:16    Oggetto:
 
ape277 ha scritto:

..........
Valentino: è tutto l'anno che andiamo in Cristo Re a fare lezione, di primo pomeriggio, ma non ci siamo mai incontrati. D'altronde voi Geometri mica fate la pausa pranzo in chiesa Wink


Laughing Laughing Laughing Laughing
In effetti, non è che l'ho oltrepassata molte volte quella soglia....

in Pausa Pranzo poi, ho sempre pensato fosse chiusa...Wink
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giovannibusato Rispondi citando



Registrato: 09/03/06 16:03
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Luogo di residenza: Paesello

MessaggioInviato: Lun Lug 19, 2010 17:31    Oggetto:
 
Valentino_52 ha scritto:
Mi sei quasi passato sulla porta di casa (la chiesa di Cristo Re è a 200 m) in punta di pedali.....


Ho trascorso la sera a leggerti e rimirare le tue foto....
non trovo gli aggettivi per commentare, forse bisogna forgiarne di nuovi,
o forse è l'ora tarda.... Wink



Questo è "materiale" per il Paesello, e non solo, vero Giovanni?


pacifico!!!
APE: rinnovo senz'altro l'invito per novembre..
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giovanni
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renrav Rispondi citando



Registrato: 23/01/09 23:28
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Luogo di residenza: TN

MessaggioInviato: Lun Lug 19, 2010 20:35    Oggetto:
 
ape277 ha scritto:
......Renrav: un po' sconvolti lo erano. Ma non so se era per causa nostra o per via di quei panzoni che salivano con le bici diretti a Bolzano (questo sulla Trento - Malé, n.d.r.)...


si si Mr. Green ricordo anche quei due...ma stavano così bene al fresco...che a Mezzocorona hanno proseguito...fino a Cles di sicuro...te li hai visti scendere dove?
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